25 APRILE 2020

Il video messaggio del Presidente Prof. Felice Tagliente in occasione della ricorrenza del 25 Aprile. 

Ogni anno il Presidente dell’ANPPIA di Torino, l’avv. Bruno SEGRE,  presenzia alla ricorrenza istituzionale del 25 aprile presso le carceri giudiziarie “Le Nuove”: oggi museo, aperto al pubblico, tutti i giorni.

La sua testimonianza sulla libertà, un diritto inviolabile di ogni donna e di ogni uomo che queste galere di Torino richiamano meglio di qualsiasi altro luogo, è stata sempre accompagnata dalla deposizione di una corona di alloro. Anche quest’anno non mancherà la corona di alloro che l’ANPPIA offre con gratitudine verso tutti coloro che lottarono contro la dittatura fascista.

La liberazione dei detenuti politici dalle carceri “Le Nuove” avvenne il 27 aprile ’45 grazie all’intervento di suor Giuseppina Demuro presso il prefetto di allora, Emilio Grazioli, di concerto con il C.L.N. delle prigioni;  fu un evento storico ma è un episodio che interpella l’uomo di sempre.

Il Covid 19 ci obbliga a stare a casa privandoci della libertà di movimento e di organizzare il tempo.

L’essere in prigione è molto più grave, doloroso e deleterio del nostro stare a casa, per l’equilibrio interno e relazionale della persona.

L’incertezza del nostro futuro è una condizione esistenziale che dobbiamo affrontare; ad esempio, siamo chiamati a scegliere tra gli interessi di parte e il bene comune, non possiamo sfuggire alla responsabilità di valutare quali i modi possano essere più idonei agli obiettivi che si intende raggiungere.

A quali uomini ci riferiamo per costruire una società libera e democratica?

I richiami forti e saggi vengono dalle donne e dagli uomini imprigionati a “Le Nuove”. Tutti loro hanno testimoniato insieme, in carne ed ossa, il vero senso dell’umanità presente dentro ciascuno di noi. Non lottarono per creare una mentalità comune ma per diventare una società, che sa convivere civilmente e nel rispetto di tutti, senza alcuna discriminazione. Essi misero al primo posto non l’ideologia né la morale né la razza nemmeno la libertà, ma la vita privata e pubblica di cittadini educati, responsabili, liberi, democratici, compassionevoli, ragionevoli, tolleranti, riconcilianti, giusti. Furono antifascisti, confinati, imprigionati, deportati, uccisi e sterminati, per costruire una società umana e regolata dalla costituzione repubblicana.  

Oggi la nostra attenzione non va rivolta all’acquisizione di conoscenze, elaborazioni, modelli matematici,  sistemi informatici, previsioni attendibili, mezzi di prevenzione per salvaguardare la nostra esistenza dal pericoloso contagio del coronavirus, ma anche per ciascuno di noi conta il fare esperienze di vita umana, innestata nell’ambiente cosmico di cui si fa parte.  Perciò noi, insieme, stando a casa, facciamo memoria comune di questi uomini e di queste donne; li onoriamo e li ringraziamo tutti per i sacrifici che hanno affrontato per il nostro bene di oggi. Ma, al contempo, siamo obbligati ad impegnarci seriamente nel nostro quotidiano, siamo richiamati anche noi ad affrontare con senso di responsabilità i nostri sacrifici per le future generazioni, per una società libera e democratica di domani.

La memoria comune del passato comprende pure persone di altre regioni italiane ed europee.

L’attenzione dell’associazione onlus “Nessun uomo è un’isola” che gestisce il museo “Carceri Le Nuove” di Torino  è rivolta in particolare a due comuni gravemente colpiti dal Covid 19: Lodi e Codogno. Perché li abbiamo scelti? Perché li ricordiamo in modo speciale?

 Innanzitutto, perché la guerra di liberazione, come a Torino, vide giovani incarcerati, deportati e fucilati per sadica crudeltà dell’essere umano: donne, bambini e vecchi umiliati e scioccati dalle scene belliche inaudite e mai viste come i bombardamenti terroristici del 1942 e dopo la resa incondizionata alle forze anglo-americane dell’8 settembre ’43.

 In secondo luogo, perché il Covid 19 ha provocato in questi due comuni tanti morti, tanti contagiati e innumerevoli sofferenze nei malati e nelle rispettive famiglie.  

Oggi citiamo i nomi di alcune persone  di Lodi, Codogno e di qualche altro paese limitrofo, consapevoli che dietro a ciascun nome esiste un esempio di vita da scoprire e valorizzare.

Il primo ricordo concerne l’alto Lodigiano dove operava la 175a   formazione comandata da Francesco SPINI nella zona di Paullo.

Il secondo ricordo riguarda il basso Lodigiano dove lottava la 171 a brigata di CODOGNO, intitolata a Lolo CLAVENA, partigiano morto nel febbraio 1944, comandata da Lino FERRARI con il vice Giulio BASSANINI, con il commissario politico Renato SUSANI ed altri: Vincenzo CAMPAGNOLI e l’ex-rappresentante del partito popolare, Angelo FUSARI.

Ricordiamo altresì la Chiesa locale con tre sacerdoti diocesani: don Pierino RINALDI, animatore delle brigate del popolo (di formazione democristiana), don Aniceto BRAMBILLA e don Nunzio GROSSI che cercò di mediare la ritirata dei tedeschi dal lodigiano.

A LODI operarono i partigiani Antonio ACHILLE, il tenente Luigi FRAGE’, il sottotenente Dino CREMASCOLI, Il sottotenente Giuseppe REGAZZETTI, il sergente Franco COSCIA. Il gruppo”Giustizia e Libertà” con Riccardo MARTA, Amilcare POLI, Franco GASTALDI, Franco FERRARI, Ambrogio MARAZZI, Cesare DOSSENA, Franco SALVATORI, Carlo OLEARI,  Mario, MAZZA, Mino ROSSETTI, Nicola CENTOFANTI, Enrico JACOPETTI, Oreste GARATI. Da Lodi partirono alcuni partigiani, prima imprigionati nel carcere “San Vittore”  di Milano, per essere  deportati nei lager nazisti; essi furono Luigia MAZZINI FOLLI, Luigi MARZAGALLI, Edoardo MEAZZI, l’ex-sindaco Ettore ARCHINTI.

Ricordiamo le 39 vittime del bombardamento del 24 luglio ’44: bambini, madri, anziani sepolti sotto le abitazioni distrutte dalle bombe esplosive, sganciate dai bombardieri angolo-americani.

Ricordiamo i morti degli eccidi del 26 luglio 1944.

La memoria collettiva comprende l’indimenticabile eccidio di Galgagnano che colpì i fratelli Artemio (reduce e mutilato dopo la campagna in Russia) e Giuseppe MASSARI , Michele VERGANI (ventenne disertore nascosto nella cascina Cagnola), Celestino SFONDRINI (conduttore della cascina) il quale disse al fratello Carlo, prima di essere ucciso dai repubblichini: “Quello che Dio vuole non è mai troppo” perdonando i suoi carnefici.

Il secondo eccidio avvenuto subito dopo il primo, a Villa Pompeiana, coinvolse  undici banditi catturati dopo un’azione di rastrellamento, costretti a consegnare le armi in possesso e fucilati immediatamente sul posto. Tra loro vi era anche un siciliano Calogero SCARAVILLI che lavorava nei campi sin dall’8 settembre ’43.

Sono da ricordare i martiri del Poligono di tiro di Lodi, fucilati  il 22 agosto 1944. Essi furono Oreste GARATI (detto il “Falco Rosso”),  Ludovico GUARNIERI, Ettore MADDE’, Franco MORETTI e Giancarlo SABBIONI, assistiti  spiritualmente dal parroco don Domenico SALETTA.

Le osservazioni della gente furono: “La cattiveria innata dell’uomo spinge i timidi ad essere violenti, i violenti ad essere crudeli. Le fantasticherie eccitanti ed inebrianti dei giovani a bravate, alle forme  più sconce della brutalità umana … I cadaveri dei fucilati al Poligono erano irriconoscibili per le sevizie che avevano subito prima della fucilazione. Il Garati era tutto bucato con una punta di ferro e morsicato dal cane … Furono trattati come bestie rognose, prive di dignità e senza umanità”.

Ricordiamo i giovani disertori e renitenti alla leva reclusi per motivi politici nelle carceri giudiziarie di Codogno, in particolare Luigi BALCONI, imprigionato e curato a lungo nell’ospedale Maggiore di Lodi per ridurre il più possibile la sua detenzione sotto i fascisti.

Che cosa hanno in comune questi uomini e queste donne che non si conoscevano ma soffrirono tanto a Lodi e a Codogno come a Torino e in altri comuni italiani ed europei?

La prima risposta è del presidente del CLN Giuseppe Arcaini che, a Lodi, disse nel comizio tenuto nel pomeriggio del 1° maggio ’45:

“noi vogliamo formare uno Stato veramente democratico che sia la casa di tutti gli Italiani degni di questo nome, in cui vi siano concrete libertà della famiglia, della scuola, del Comune, della religione, del sindacato, della proprietà, della professione, della vita spirituale ed economica …  io ho la ferma fiducia che la stessa unione spontanea, leale, efficiente, che si è ottenuta nel periodo della lotta insurrezionale, sarà mantenuta perché essa sola può consentire al popolo di rimettersi in piedi”.  

La seconda risposta è data dallo storico Ercole Ongaro con questa riflessione:

“La speranza era il sentimento che accomunava tutti nella primavera 1945: affondava le sue radici nel quotidiano resistere di molte persone contro il regime fascista e l’occupazione tedesca, riceveva linfa dalla memoria di coloro che avevano dato la vita per salvare le ragioni della vita”.

E’ questa la nostra speranza di oggi!

 

Torino, 16 aprile 2020                                                                                                                 

Prof. Felice Tagliente
Presidente dell’Associazione onlus
“Nessun uomo è un’isola”